La relazione docente-allievo

Le abilità relazionali del docente.

La relazione docente-allievo attraverso la consapevolezza, la comunicazione verbale e non verbale, l’osservazione, la gestione delle emozioni, la valorizzazione delle differenze individuali, l’uso dello spazio e del tempo.

“Il processo didattico è un processo di natura relazionale,

nel senso che mira a sostenere lo studente 

nella acquisizione della capacità

di dare un senso alla propria esperienza, 

in un clima di scambio aperto e continuo”

(Rogers)

La dimensione della relazione

Affermare la priorità della relazione educativa sulla didattica rappresenta una tendenza costante della pedagogia:  è necessario prima creare una buona relazione educativa e solo dopo è possibile insegnare, facilitare l’apprendimento e prendersi cura del percorso formativo di ogni studente.

La relazione educativa è fondata sull’incontro, per imparare insieme, per crescere insieme: un incontro che cambia e che trasforma, per cui si può considerare la relazione didattica ed educativa come un evento - contatto autentico e la scuola come il luogo privilegiato dello scambio e dell’incontro culturale, umano, sociale. [1]

Il nodo cruciale della funzione docente sta nella relazione, infatti, è all'interno di essa che l'insegnante efficace ha la possibilità di creare un contatto emotivamente significativo che, motivando l'alunno attraverso un coinvolgimento personale, consente la trasmissione di conoscenze e l'acquisizione di competenze durature.
Attraverso una relazione positiva, inoltre, l'insegnante aiuta gli alunni nella costruzione di una identità consapevole di sé, dei propri limiti e dell'arricchimento che deriva dal confronto con l'altro.[2]

Il livello relazionale del lavoro del docente non può quindi essere ridotto ad elemento accessorio dell'azione didattica in quanto, la fluidità di questo rapporto, determina in ogni momento la disponibilità dell'allievo ad accogliere i messaggi culturali veicolati con i moderni strumenti della pedagogia. Dove la relazione allievo-docente è vischiosa o bloccata nasce un circolo vizioso che conduce al fallimento dello scopo didattico.  Al rifiuto da parte dell'allievo delle materie di studio, ma in realtà indirizzato al docente, segue un rifiuto più o meno consapevole dell'allievo da parte del docente che compromette in modo definitivo l'iter formativo del discente.           

 I docenti, in realtà, nella quasi totalità dei casi si trovano ad interagire con alunni che proiettano sui docenti i modelli relazionali, spesso disfunzionali, appresi in ambiti estranei alla scuola. Chi insegna quindi ha la necessità di padroneggiare con sensibilità e forza gli strumenti relazionali e comunicativi, pena il diventare vittime inermi ed impreparate di distorsioni psicosociali prodotte da altri.

C’è da considerare  che il fallimento del lavoro didattico non è mai un evento emotivamente neutro. Il dolore morale che l'allievo ed il docente esperiscono hanno spesso conseguenze rilevanti sulla motivazione a continuare il proprio percorso o sulla valutazione serena della propria realtà esistenziali. Il docente, in modo particolare, è esposto al rischio di quell'articolato processo definito burn out  caratterizzato da un vissuto di impotenza, demotivazione, perdita di interesse per la propria professione e spesso difficoltà ad interagire con i colleghi e con l'ambiente istituzionale.[3]

Essere in relazione, vivere la relazione, osservare la relazione, costruire o ricostruire una relazione rappresenta dunque la trama di fondo della materia di cui è composta la quotidianità della giornata del docente. Ma per il docente il fulcro della dimensione della relazione  è rappresentato dalla molteplicità, perché se  la relazione  Io-Tu è caratterizzata dall’incontro esistenziale nella realtà attuale tra due persone e implica la partecipazione di entrambe, ed il riconoscimento che ognuna delle due viene modificata dall’altra in questo processo (Buber), il contatto del docente con il TU è rappresentato da allievi- persone [4] sempre più differenziati.

Le classi risultano composte non solo da allievi provenienti da culture differenti o ambiti sociali e\o educativi diversi, ma anche da allievi che, seppur apparentemente uniformati in modelli e dettami di “tendenza”, posseggono una personalità specifica, con bisogni, cognitivi, metacognitivi, affettivi ed emotivi individuali.

 Gli esperti di educazione sostengono che in una scuola inserita nella società della globalizzazione, le culture da integrare non riguardano tanto le collettività ristrette, identificate da una particolare etnia, cultura, categoria di persone, ma piuttosto gli individui stessi, fatti di corpi singolari e di immaginari altrettanto singolari [5].

Inoltre la spinta alla “personalizzazione” degli interventi, , fortemente sostenuta dalla Riforma, pone sempre più l’esigenza di possedere strumenti di conoscenza di sé e dell’altro maggiormente inerenti la dimensione del “saper essere” piuttosto che del “sapere” o “saper fare” che, troppe volte, si traduce in un’applicazione posticcia di procedimenti appresi, ma non digeriti, fatti di  “carte”  e progetti che poco incidono sulla reale percezione degli allievi di essere in una relazione nutriente, nonché fonte  di potente motivazione.

Ma se la motivazione nasce in buona percentuale dallo “star bene a scuola”,[6] un elemento cardine di tale benessere è la qualità della relazione docente-allievo, qualità che si realizza nella strutturazione equilibrata di una serie di elementi differenti che, nella loro sinergia, esprimono le “abilità relazionali” del docente.

 

Le abilità relazionali del docente

“Lo sviluppo della relazione docente-allievo, è un processo dinamico influenzato dalle convinzioni (beliefs), dai valori e dalle abilità di ogni membro della diade”[7], e tra le abilità fondamentali del docente, ricoprono un ruolo sempre più importante le abilità relazionali.

Volendo definire le precise competenze del docente in quest’ambito è necessario sviscerare i singoli elementi alla base della relazione e provare ad analizzarli, concretizzando un itinerario attraverso le competenze che risultano essere necessarie e che comprendono:

  • La capacità di monitorarsi continuamente per giungere ad un buon livello di consapevolezza
  • L’esercizio dell’osservazione fenomenologica
  • Le competenze relative alla comunicazione verbale e non-verbale
  • Le competenze relative alla gestione delle emozioni
  • La conoscenza di strumenti utili all’individuazione e alla valorizzazione delle differenze individuali
  • La capacità di agire creativamente nello spazio
  • La consapevolezza della personale percezione del tempo e dei differenti vissuti e bisogni rispetto ad esso

 

La relazione attraverso la consapevolezza

La consapevolezza risulta essere un aspetto basilare. Attraverso una maggiore conoscenza di noi stessi, delle strategie che utilizziamo quando affrontiamo un problema, dei nostri punti di forza o, al contrario, di debolezza possiamo diventare sempre più adeguati alle varie situazioni. Fondamentale è cominciare da sé, come docenti, ma quanto detto lo si può riferire anche agli studenti e al loro apprendimento. E’ possibile, infatti, se abituati a vivere in prima persona la dimensione della consapevolezza, aiutare gli allievi a diventare a loro volta consapevoli in merito ai processi che sono alla base dei loro comportamenti e delle loro modalità di apprendimento e guidarli quindi a scegliere le strategie migliori per loro[8].

La consapevolezza è un esercizio, un esercizio che passa attraverso l’ascolto di sé, un ascolto che pone l’attenzione in modo particolare alla propria esperienza cognitiva, emotiva e corporea. E’ importante  per questo allenarsi ad essere presenti, ad essere  in contatto con la propria triplice esperienza.

Un’analisi del livello cognitivo può condurre alle seguenti consapevolezze: quali sono i nostri pensieri nel “qui ed ora” che non riusciamo a silenziare? quanta parte della nostra mente occupano? quali “idee irrazionali” o “pensieri automatici” coltiviamo? quali di questi catturano e dominano la nostra attenzione?

L’attenzione al nostro livello emotivo conduce poi a consapevolizzare: quali emozioni sperimentiamo in quel momento? quali di queste sono generate da pensieri che portiamo “da casa” o “dalla strada” e che non riusciamo a lasciare fuori dalla porta? quali emozioni rifiutiamo, non riconosciamo o trasformiamo in altro?

L’analisi del livello corporeo potrà poi portarci a delle ulteriori consapevolezze: quali tensioni dolorose o meno percepiamo nel nostro corpo? quali di queste si riflettono sul nostro viso impedendogli di avere un aspetto sereno, aperto e comunicativo?  quali di queste si incarnano nel nostro corpo bloccando la possibilità di assumere una postura rilassata e creando un ostacolo alla fluidità dei nostri movimenti? Quali di queste tensioni sono generate dalle emozioni che proviamo?

Tutto ciò che quotidianamente esperiamo, se non giunge al livello della nostra consapevolezza, può porre dei seri ostacoli nella comunicazione e nella relazione. Inoltre il nucleo di  pensieri – emozioni – sensazioni, che sono generati da situazioni che nel “qui ed ora” stiamo vivendo nella nostra sfera privata, se non consapevolizzati, rischiano di essere “scaricati” nell’ambito della classe, con ripercussioni gravi per il “clima” generato in classe e per l’attivazione di reazioni negli allievi più sensibili.

L’acquisizione di competenze elevate passa attraverso la consapevolezza del proprio corpo in “relazione”. A questo proposito, un feed-back molto utile per i docenti può essere rappresentato dalle “imitazioni”  che gli alunni spesso fanno, esasperando alcune caratteristiche della comunicazione verbale e non verbale del docente, e che rappresentano un forte rispecchiamento che potrebbe condurre il docente ad un momento di “insight”.

 

La relazione attraverso la comunicazione verbale e non verbale

Se consideriamo che si verifica una comunicazione efficace quando l'emittente (docente o allievo) riesce a far arrivare al ricevente il messaggio, con lo stesso significato che l'emittente gli aveva voluto dare, ci rendiamo conto di quanto ciò capiti raramente e di quante distorsioni avvengono lungo questo passaggio poiché gli ostacoli ad una comunicazione efficace possono derivare da molte cause. Ad esempio dal fatto che il ricevente (spesso l’allievo), più che concentrarsi sul contenuto ed il significato del messaggio, si preoccuperà di come egli viene percepito e considerato dal suo interlocutore, penserà a cosa è meglio rispondere o non rispondere per non fare brutta figura o per non essere sottovalutati, cercherà di tenere sotto controllo il proprio disagio, ecc.

In altre parole, spende una percentuale considerevole della propria energia per difendersi da una situazione che  percepisce come minacciosa e questo gli impedisce di concentrarsi sul messaggio e sul suo significato. Si instaura quindi un ascolto parziale, "difensivo", che a sua volta amplificherà l'inefficacia della comunicazione, in quanto, non essendovi una buona comprensione, si tenderà a distorcere anche il poco che si è riusciti a "captare" e a rispondere in maniera inadeguata. Ma come può una situazione apparire minacciosa se non vi è nulla di “minaccioso” nelle parole del messaggio?

C’è da considerare che quando una persona comunica con un'altra, il suo messaggio non è soltanto costituito da ciò che la persona letteralmente dice; a questo messaggio letterale si accompagna infatti un'altra comunicazione, detta “metacomunicazione" o “metamessaggio", che può essere definita come un commento sulla natura del messaggio stesso, come una chiave di lettura per la sua interpretazione.

Nella maggior parte dei casi, la metacomunicazione è di tipo non-verbale (o analogica); infatti il messaggio non-verbale, proprio per la sua primitività e sincerità, è maggiormente in grado di esprimere, a volte all'insaputa dell'emittente stesso, il significato reale che si deve dare ad un messaggio verbale.

Affinché la comunicazione sia chiara, è necessario che essa sia il più possibile congruente, cioè che vi sia accordo tra il messaggio e il metamessaggio. Al ricevente giunge così un messaggio di facile lettura a cui può rispondere di conseguenza. Questa condizione non si verifica sempre. Può perciò succedere facilmente che la comunicazione e la metacomunicazione non coincidano, cioè in concreto, può succedere che le parole esprimano un messaggio e la comunicazione non-verbale ne esprima un altro contrastante.

La comunicazione incongruente, o distorta, genera in chi riceve il messaggio, grande ansia e confusione, anche se non ne è sempre cosciente. Appare allora necessario prefiggersi delle finalità sul piano della comunicazione tramite delle tecniche comunicative in maniera tale che questi obiettivi possano essere tradotti nella relazione.

In primo luogo è importante favorire la comunicazione con l'altro, rendersi comunicativi e comprensibili nei confronti dell'altro, attraverso:

  • chiarezza verbale: pronunciare chiaramente e correttamente le parole e le frasi, imponendosi di scandire bene le parole, di non utilizzare volumi e toni di voce che rendano difficilmente comprensibile ciò che si va dicendo, di non parlare troppo velocemente
  • ordine logico: organizzare il discorso secondo un chiaro ordine logico in cui siano riconoscibili facilmente i nessi causali che legano le varie parti del discorso
  • sequenza temporale: per facilitare la comprensione è utile esporre il discorso seguendo l'ordine cronologico con cui gli avvenimenti che vengono riportati si sono effettivamente realizzati nella realtà, o secondo l'ordine con cui si verificheranno
  • ausili: si possono considerare "ausili" tutto quanto possa aumentare la comprensibilità di ciò che viene esposto verbalmente (gestualità, mimica, immagini o metafore, disegni, esempi, ecc.)
  • richiesta di conferme: questa tecnica serve ad avere un riscontro di quanto, e se, l'altro abbia compreso di quello che si è detto
  • ripetizioni: una comunicazione verbale fatta di idee, concetti aumenta la probabilità di essere raccolta, e magari ricordata, se viene ripetuta più volte
  • riepilogazioni, sintesi: vuol dire elencare in forma sintetica i passi significativi di un discorso; chiarire l'ossatura, la trama di un'argomentazione.
  • sottolineature: si rivela strategia utile quella di sottolineare i passaggi, tramite segni verbali e anche non-verbali, per marcare la rilevanza, o la non rilevanza, di talune parti del discorso, ed agevolarne perciò una fruizione bilanciata e corretta da parte di chi ascolta. In questo modo si evidenziano i concetti importanti per catalizzare l'attenzione dell'allievo verso ciò che è essenziale
  • adattamento all'altro: più è marcata la differenza socio culturale più sarà elevato il rischio che sopravvengano, sul piano della comunicazione, difficoltà reciproche di comprensione. Ovvio l'antidoto: adattarsi al livello culturale e di comprensione dell'altro, usando un linguaggio adeguato e le altre possibili strategie tese ad ottimizzare il grado di "comprensibilità" della comunicazione.

Altrettanto importante è agevolare l'altro a comunicare. Con questa espressione si intende il favorire l'espressione e la verbalizzazione da parte dell'allievo, agevolarlo a produrre comunicazioni, ad emettere messaggi, ad esternare vissuti, opinioni, idee, riflessioni o altro. Con quali modi?

  • Mostrare attenzione, verbalmente o non-verbalmente attraverso:
  • Riformulazione-eco: si tratta di ripetere soltanto la parte finale di ciò che l'altro ha appena detto: questo stimola ed incoraggia l'allievo a riprendere a parlare e gli fornisce la testimonianza tangibile dell'attenzione che si è prestata a quello che ha detto
  • Assensi: si tratta di brevi segnali di affermazione, inviati verso chi sta parlando. Possono essere espressioni verbali ma anche messaggi non-verbali; spesso vengono emessi insieme, assensi verbali e non-verbali, anche in modo automatico e incontrollato, contribuendo a sostenere il comunicare dell'allievo, al quale si trasmette così attenzione
  • Comunicare calma e disponibilità di tempo. Comportamenti indicanti disponibilità possono essere:
  • Posture rilassate: la fretta ingenera come conseguenza l'assunzione di posture che esprimono tensione da parte delle persone
  • Non interruzione: la fretta induce a tagliare i discorsi dell'altro, ad anticiparne le conclusioni, tende, in altre parole, a limitare il tempo da dedicare all'ascolto di colui che parla
  • Voce distesa: letteralmente la voce "dis-tesa" comunica assenza di ansia. Indicatori di questo parametro sono: un volume di voce moderato, un'adeguata velocità dell'eloquio, l'utilizzo di pause, ecc
  • Stimolare l'allievo con domande aperte, inviti diretti ad esprimere la propria opinione ecc.
  • Creare un ambiente non-ostacolante. Un primo passo per agevolare la comunicazione è dunque quello di sgomberare l'ambiente fisico dagli impedimenti materiali o esterni eventualmente presenti in maniera da poter osservare bene l’allievo.
  • Esercitare l’ascolto attivo. Si può distinguere un duplice livello di ascolto: il primo è connotato dalla funzione dell'udire, sentire, recepire le parole che vengono inviate dall'allievo; il secondo riflette un'accezione più ampia, "empatica", dell'ascolto, inteso allora come un atteggiamento di sensibilità, disponibilità e recettività, diretto ad un'altra persona, e rivolto a cogliere non solo l'aspetto verbale ma anche quello non-verbale. Ascolto quindi dei concetti e delle idee, ma anche del substrato psicologico ed emotivo che li ha generati.

Tutto ciò sarà finalizzato a favorire la qualità della relazione docente-allievo, ma un altro elemento che può condizionare fortemente la relazione è poi rappresentato dalla nostra capacità di osservazione.


La relazione attraverso l’osservazione

L’idea dell’altro si forma in noi attraverso l’osservazione. Secondo la Cibernetica l’osservatore è parte del sistema in quanto lo costruisce nell’atto di osservarlo: la descrizione di una situazione è risultato tanto delle caratteristiche di quanto viene osservato che delle caratteristiche individuali del soggetto che osserva, anzi, dice più cose dell’osservatore che dell’osservato (H. von Foerster,1987).

L’osservatore descrive la realtà basandosi sulle proprie percezioni, che sono influenzate da fattori fisiologici (l’elaborazione degli input esterni a carico dei processi percettivi),  psiconeurolinguistici (la preminenza di un canale sensoriale: visivo, cinestesico o uditivo, rispetto ad altri e la conseguente propria “mappa mentale”[9]) e psicologici (i fini che orientano l’osservazione, la cultura del tempo, le teorie cui si fa più o meno esplicitamente riferimento).

A questo proposito c’è il rischio che la selettività osservativa del singolo insegnante diventi una versione “rigida” dell’allievo osservato, un’aspettativa impermeabile al mutamento e che influisca sul comportamento dell’allievo nella direzione di una conferma dell’aspettativa dell’insegnante e le indagini sul cosiddetto “effetto pigmalione” (Rosenthal, Jacobson 1968) dimostrano che questo rischio è reale.

Gli strumenti per combattere un tipo di osservazione impressionistica sono:

  • l’osservazione sistematica (l’insegnante osserva il comportamento dei suoi allievi più volte, in periodi diversi, e annota le sue osservazioni seguendo sempre lo stesso schema),
  • l’osservazione fenomenologica (esercizio della riduzione al fenomeno)[10],
  • l’inter-osservazione (due o più osservatori osservano lo stesso soggetto-contesto e confrontano gli esiti dell’osservazione, ad esempio nel consiglio di classe).

 Padroneggiare il processo di osservazione continua [11] permette quindi di aggirare le molteplici “trappole” che insidiano l’arduo compito dell’osservare (il punto di vista, il pregiudizio, l’effetto Pigmalione, la reattività degli allievi)  ricordando che, al centro dell’osservazione, non vi è solo il singolo allievo, né il docente con le sue aspettative (alla luce delle quali osserva la situazione), ma la relazione tra docente e allievo, relazione in cui ogni membro della diade agisce con sue conoscenze, abilità metacognitive, emozioni, convinzioni. Si deve cioè concepire una situazione osservativa che mette in gioco molte variabili. [12]

 

La relazione attraverso la gestione delle emozioni

 “…in un clima favorevole alla crescita, l’apprendimento è più profondo, procede più rapidamente…perché nel processo è investita l’intera persona, con sentimenti e passioni al pari dell’intelletto” (Rogers, 1978) . Queste parole di Rogers evidenziamo la forte interazione dei processi razionali con le esperienze emozionali ed appare quindi evidente il ruolo centrale che i processi affettivi giocano nell’organizzare l’esperienza e il comportamento. Ma lo sviluppo di una relazione educativa fondata sull'empatia e l'ascolto, sul clima relazionale che favorisca la crescita completa della persona e la risoluzione dei conflitti interpersonali non sempre trova una facile realizzazione.

Perciò l’alfabetizzazione emozionale sta occupando spazi degni di nota nell’ “educazione all’affettività” che attualmente viene sviluppata nei programmi scolastici. Essa ha come obiettivo principale quello di consentire un'adeguata gestione dei sentimenti e lo sviluppo di specifiche capacità, in modo tale che i processi cognitivi e di apprendimento, sia individuali che di gruppo si realizzino naturalmente, senza interferenze e con maggiore successo (Gordon, 2001). Ma quanto sono addestrati i docenti nelle acquisizione delle competenze emotive fondamentali? E quali sono queste competenze?

Esse comprendono cinque elementi:
1. Consapevolezza di sé (conoscere in ogni istante i propri stati interiori per gestire meglio scelte e decisioni personali).
2. Autocontrollo (regolare le proprie emozioni per fronteggiare ogni situazione).
3. Motivazione (tendenze emotive per guidare se stessi al raggiungimento di obiettivi).
4. Empatia (percepire i sentimenti degli altri, essere in grado di adottare la loro prospettiva).
5. Abilità sociali (gestire bene le emozioni nelle relazioni e saper leggere accuratamente le situazioni sociali per avere massima efficacia. Queste abilità comprendono: comunicazione, leadership, gestione del conflitto, collaborazione e cooperazione).

Le competenze emotive fondamentali personali [13] determinano il modo in cui controlliamo noi stessi, mentre quelle sociali determinano il modo in cui amministriamo le relazioni con gli altri.

Tutte queste abilità risultano essere ampiamente insegnate, ma l’acquisizione di esse necessita di training esperienziali che non sempre la formazione dei docenti prevede, ed anche quando gli ambiti formativi sono adeguatamente strutturati e finalizzati ad una reale “messa in gioco” del docente, spesso si registrano forti resistenze e notevoli ostacoli, perlopiù dovuti ad una serie di paure e preoccupazioni.

Vi sono differenti difficoltà e paure che il docente si trova a dover affrontare, per cui, per uscire dalla rigidità del proprio ruolo il docente ha bisogno di:

  1. Vincere la paura di ascoltare, per timore che questo significhi comprendere ed accettare ogni comportamento dell’allievo[14]
  2. Vincere la preoccupazione di dover ridurre la quantità delle conoscenze da far apprendere
  3. Vincere la preoccupazione di non riuscire ad individuare e valutare le differenze individuali.
  4. Vincere l’impulso di fornire risposte, indicare procedure, passare soluzioni.
  5. Vincere la preoccupazione di perdere il controllo della classe

 Mettersi in gioco come persone, all’interno della relazione docente-allievo, uscendo dal ruolo protetto di colui o colei che gestisce un patrimonio di conoscenze e le elargisce ai discenti, può creare quindi una serie di difficoltà, difficoltà che vengono spesso alla luce in quei momenti meno protetti quali ad esempio “l’accoglienza” oppure “l’orientamento” , che prevedono un cambiamento profondo di ruolo.

Una efficace gestione delle proprie emozioni, attraverso training orientati al “saper essere” permetterebbe un reale cambiamento di atteggiamento, spesso solo apparentemente uniformati agli standard della psicopedagogia contemporanea.

 

La relazione attraverso la valorizzazione delle differenze individuali

Lo studio dei processi, l’attenzione verso le strategie di apprendimento degli studenti ha portato all’idea che non esiste un unico tipo d’intelligenza e che ognuno ha un proprio “stile di apprendimento”.

Gli studi di Gardner sulle intelligenze multiple, la teoria triarchica di Sternberg, la riflessione di Goleman sull’intelligenza emotiva hanno superato in modo deciso e chiaro la concezione quantitativa dell’intelligenza umana e hanno contribuito al declino dell’approccio psicometrico.

La teoria delle intelligenze multiple di Gardner suggerisce di inserire nel curriculum scolastico ambiti o campi dell'attività umana (quali, ad esempio, la musica o la psicomotricità) che invece di solito vengono marginalizzati o non considerati affatto.

La teoria triarchica dell'intelligenza umana di Sternberg suggerisce, invece, di usare le conoscenze di base per intenti creativi, analitici, pratici. Le due teorie non sono incompatibili ma integrabili.

 Bisogna fornire agli studenti la possibilità di usare ciò che sanno per sviluppare le loro abilità di pensiero.

Il docente dovrebbe insegnare - e gli studenti dovrebbero avere l'opportunità di imparare - in modo analitico, pratico, creativo. "Non esiste un modo giusto di insegnare o di imparare che funzioni per tutti gli studenti. Bilanciando i generi di istruzione e di valutazione si raggiungono tutti gli studenti e non solamente alcuni" [15]

 Un’assunzione di responsabilità nei confronti di tale considerazione presuppone il passaggio da una scuola centrata sull’insegnamento ad una scuola che contempla anche le problematiche relative all’apprendimento, con lo scopo di assicurare ad ogni alunno “un apprendimento, reale, effettivo ed efficace”.

Scopo quanto mai complesso considerando che la diversificazione della relazione educativa nei confronti di soggetti diversi coinvolge sia le condizioni didattiche (tempo, ambiente, qualità dell’istruzione, tecnologie educative, relazioni) che le condizioni del soggetto (attitudini, capacità).

Individualizzare la relazione educativa può significare, certamente, porre le differenze personali come punto di partenza del processo di insegnamento/apprendimento che si caratterizzerà, inevitabilmente, in modo articolato e vario (in quanto rispondente ad interessi, capacità, ritmi, difficoltà, attitudini, inclinazioni, carattere, esperienze diverse). Ciò, però, può non essere sufficiente per la promozione dell’auspicato “apprendimento efficace”.[16]

Al rispetto delle peculiarità personali corrisponde, infatti, la consapevolezza del ruolo dell’alunno come “ agente principale” del proprio processo di apprendimento. Un ruolo che lo conduce, da un lato ad una maggiore consapevolezza e responsabilizzazione, dall’altro ad un attribuzione di valore al contesto di apprendimento - alla situazione scolastica - alla stessa relazione educativa.

La risposta all’istanza di personalizzazione dell’insegnamento/apprendimento mette in gioco, quindi, tutte le variabili che caratterizzano la relazione educativa: quelle relative all’alunno, al gruppo, al docente, alle condizioni didattiche.

Per questo si può immaginare la scuola come un luogo di incontro/confronto. E il concetto di personalizzazione, centrale nella Riforma della scuola, come un reale “sguardo nuovo nei confronti dell’alunno” se si qualifica con il carattere della relazionalità proprio della persona umana [17]

 

La relazione attraverso l’uso dello  spazio  e del tempo

 E’ possibile ampliare la possibilità di rendere lo spazio una funzione della comunicazione e della relazione?

“Ogni elemento presente nell’azione formativa non deve essere sottovalutato: anche l’ambiente fisico ha un’influenza predominante e non deve essere considerato un semplice “contenitore” o uno sfondo sul quale il formatore agisce, ma uno strumento da utilizzare per facilitare gli obiettivi formativi, la crescita professionale e psicologica” [18]

 La semplice modifica dell’ambiente-classe attraverso la ristrutturazione dello spazio, come ad adempio durante un “circle time” può provocare diverse modifiche nell’atteggiamento non solo degli allievi ma dei docenti stessi. Spostare  i banchi e creare un circolo  paritario, non gerarchico, dove tutti possono vedere gli altri, agevolerà sicuramente una maggiore capacità di espressione in quegli allievi che normalmente vengono “nascosti” dalla maggiore  assertività o aggressività di altri, mentre, l’essere completamente esposti, potrà favorire un maggiore contenimento in allievi che abitualmente agiscono un comportamento poco corretto.

Anche l’uso di altri spazi della scuola quali ad esempio la sala teatro o il cortile, può creare nuove occasioni, per  inesplorate modalità di comportamento.

Quando si presenta un problema derivante da un comportamento inaccettabile, difficile da affrontare direttamente, Gordon suggerisce di fare qualcosa per modificare o riorganizzare l’ambiente in cui si esplica il comportamento disturbante allo scopo di : - eliminarlo, - modificarlo, - isolarlo. Tra i metodi principali da adottare per cambiare l’ambiente ci sono:

  • aggiungere all’ambiente: introdurre cioè attività o materiali che catturino l’attenzione dell’allievo; aumentare le aree di lavoro o di gioco per incoraggiare un certo comportamento.
  • sottrarre all’ambiente: ridurre gli stimoli e gli strumenti fisici che innescano un comportamento inaccettabile; destinare certe zone della classe o dell’edificio scolastico ad attività specifiche.
  • modificare l’ambiente: rendere l’aula più adatta ad un comportamento più indipendente ed efficace dello studente; mettere in evidenza, riporre o introdurre determinati elementi in aula per eliminare o incoraggiare certi comportamenti.

 Lo spazio e il suo allestimento comunicano una serie di possibilità e divieti, mettono nelle condizioni di sentirsi a proprio agio oppure no (aspetti di chiusura/apertura - vicinanza/lontananza, ecc.)

L’aula secondo l’immagine tradizionale è un luogo che contiene approcci rigidi e rigorosi all’istruzione con gerarchie ruoli definiti, incompatibile con le esigenze mentali e comportamentali di alunni e docenti. Un tipo di scuola centrata sull’insegnante e sulla lezione frontale, infatti, necessita di un ambiente definito e stabile, favorevole alla disciplina formale, il “modello standard di spazio: ambiente costituito dall’uso prevalente di aule con banchi e cattedra”. Al contrario, un’educazione che punta a promuovere la partecipazione attiva dell’alunno ponendolo al centro del proprio processo formativo, dovrà costruire soluzioni organizzative flessibili. Spazi, quindi, bene organizzati, funzionali alle esigenze degli alunni e adeguati ai vari bisogni formativi.

 Quali  importanza ha la nostra relazione con il tempo e la sua relativa gestione ? Quanta attenzione poniamo alla differente percezione del tempo da parte degli allievi?

Consideriamo che il tempo scolastico si articola:

  • nel tempo personale (necessario ad ogni alunno per raggiungere una meta formativa secondo un ritmo diversificato di costruzione delle competenze),
  • nel tempo del gruppo (necessario per coniugare e condividere i vari ritmi)
  • nel tempo concesso dalla scuola e dai docenti ad ogni alunno ed al gruppo
  • nel tempo che ogni alunno e il gruppo decide di concedere alle attività scolastiche.

 L’affidabilità del tempo nella relazione educativa è il risultato della considerazione del tempo dell’apprendimento (comprensivo anche della reazione dei singoli alunni, della loro disponibilità, delle resistenze) e del tempo dell’insegnamento (la proposta del docente). Due aspetti che inducono a definire il tempo come “una dimensione complessa e sfuggente, funzione diretta – assieme allo spazio – di tutte le operazioni didattiche”.[19]

 Le attività scolastiche proposte intrecciano, pertanto, spazio e tempo, alternando situazioni di apprendimento diverse e, conseguentemente, stimolando atteggiamenti personali e collettivi vari.

La necessità di personalizzare il processo di apprendimento, mette in evidenza sempre più il tempo scolastico nella dimensione della contemporaneità: l’organizzazione e la gestione del tempo comune, articolato in tempi soggettivi, visibili in attività personali, svolte in un ambiente definito da spazi diversificati.

A questo proposito E. Shein [20]parla di tempo <<policronico>> (“una specie di spazio definito più da quanto si realizza che da un orologio e all’interno del quale si possono fare molte cose contemporaneamente”), un tempo che si differenzia da quello <<monocronico>> (“una striscia lineare divisibile all’infinito che può essere suddivisa in appuntamenti o in altri comparti, all’interno dei quali si può fare solo una cosa alla volta”).

Per progettare l’intreccio tra tempo, spazio e attività nella dimensione del tempo policronico personalizzante, è centrale, del resto, un’azione partecipata tra alunni e docenti. Affinché, sia possibile gestire coerentemente l’attività di soggetti distinti che svolgono o tutti assieme le stesse operazioni o tutti assieme operazioni diverse, è determinante la funzione di integrazione che può svolgere il tempo attraverso l’uso degli orari e dei calendari. Strumenti che facilitano la promozione della consapevolezza e il ruolo attivo degli alunni nella gestione degli spazi e dei tempi, così da assicurare atteggiamenti e comportamenti autonomi e responsabili. I calendari di classe, di gruppo, personali, infatti, scandiscono il tempo, più che misurarlo e servono da legame con i ritmi relativi alle attività della giornata scolastica, proponendosi come strumenti per il confronto, per ricostruire i percorsi, per rivedere i percorsi in relazione ad altri ritmi e per accogliere e riassumere storie diverse.

I tempi soggettivi si riconoscono nel tempo del gruppo che li contiene e li valorizza.

 La relazione docente-allievo dunque vive nello spazio e nel tempo, strutturandoli e ristrutturandoli, al fine di creare alleati preziosi che permettano l’accoglienza della diversità e lo sviluppo della creatività di entrambi i protagonisti.

[1] M. Polito - “Apprendimento ed insegnamento secondo la Teoria della Gestalt”  in  Laboratorio Itals - Dipartimento di Scienze del Linguaggio dell’Università Ca’ Foscari di Venezia

[2] T. Gordon , Insegnanti Efficaci, Giunti, Firenze 1991

[3] “Per un'introduzione al Counseling Scolastico” di R. Sperandeo – www.edscuola.it

[4] La dimensione relazionale del docente è ovviamente ancor più ampia e complessa e comprende le altrettanto fondamentali relazioni con gli altri protagonisti dell’azione educativa quali la famiglia, gli altri docenti (in particolar modo i colleghi del Consiglio di Classe),  la dirigenza,  il personale non docente, ecc. ma nella presente trattazione si focalizzerà l’attenzione esclusivamente sulla relazione docente-allievo

[5] M. Ceruti, “Educazione planetaria e complessità umana”, in M. Callari Galli, F. Cambi, M. Ceruti (a cura di), Formare alla complessità,   Carocci, Roma,  2003,

[6] Francescato / Putton / Cudini  - Star bene insieme a scuola –Carocci editore 2000

[7] Heather  A. Davis “The Quality and Impact of Relationships between Elementary School Students and Teachers” in Contemporary Educational Psycology 26, (2001)

[8] M. Barbolini “Orientamenti pedagogico-didattici per una scuola di qualità”– www.integrazionescolastica.it

[9] D. Decimo – “L’uso della PNL nella scuola” – www.officinadelleidee.it/scuola

[10] De Monticelli – La fenomenologia – Calls for Comments, SWIF www.swif.it/cxc -  L’esercizio della riduzione al fenomeno, con alcune Istruzioni per entrare in fenomenologia - a) Fermati. - b) Sospendi tutte le prese di posizione (giudizi, valutazioni, decisioni) c) Metti fra parentesi tutto quello che sai su questa cosa, ma che nel suo fenomeno non si mostra.

[11] P. Perrenoud, Dieci nuove competenze per insegnare, Roma, Anicia 2002.

[12] M. Pavone – “La formazione degli insegnanti per affrontare le difficoltà di apprendimento degli allievi” – pubblicato in Atti “Matematica e Difficoltà” – 2005

[13] D. Goleman -   Lavorare con intelligenza emotiva, Rizzoli 1998

[14] A. Maggiolini - Counseling a scuola – Franco Angeli - 1997

[15] R.J. Sternberg - L. Spear-Swerling  - Le tre intelligenze - Ed. Erickson - 2001

[16] G. Petrini – “Personalizzazione formativa” in www.rivistadidattica.com

[17] A. Rocca – “Verso i piani di studio personalizzati”in “ il Maestro, n. 5 - 2003

[18] A. Calvani – “Per una <ergonomia didattica>”in Form@re del 27 /11/2003

[19] E. Damiano – Il tempo per insegnare. Un’indagine di fattibilità sui programmi della scuola elementare – IRRSAE – Lombardia - 1985

[20] E.  Shein – Cultura d’azienda e leadership – Guerrini e Associati, Milano  1970

 

 

 

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